Pigri da morire. Accade a 5 milioni di persone l’anno nel mondo occidentale, uccise dalla sindrome del ‘divano killer’. A rilanciare l’allarme sedentarietà, un’epidemia che rappresenta la quarta causa di mortalità e disabilità in Occidente, sono gli esperti riuniti a Roma per il Congresso 2016 della Società europea di cardiologia (Esc) dove è stato presentato un algoritmo salvavita: si chiama ‘Pai’ (Personal Activity Index) e averlo alto abbatte di quasi un quarto la probabilità di morire di cuore, rispetto a chi non fa sport.
L’idea è quindi quella di inserirlo in un device indossabile durante l’attività fisica, per monitorare l’evolversi del rischio.
Ma qual è il rapporto fra gli italiani e il sofà? Gli abitanti della Penisola “dicono sì allo sport, però solo se si tratta di guardarlo alla tv”, sottolinea Michele Gulizia, direttore di Cardiologia all’ospedale Garibaldi di Catania e Esc Local Press Coordinator. Secondo i dati del Sistema di sorveglianza ‘Passi’ (2011-2014) appena un connazionale su 3, “il 33,2% tra i 18 e i 69 anni, può essere considerato realmente attivo – ricorda lo specialista – il 35,8% lo è parzialmente (svolge qualche attività nel tempo libero senza però raggiungere i livelli raccomandati) e il 31% è completamente sedentario”.
Una condizione che ‘contagia’ anche i più piccoli. Quest’anno un rapporto di Save the Children ha evidenziato fra i minori “un quadro drammatico e tutt’altro che confortante: il 23% non svolge regolarmente attività motorie nel tempo libero, l’11% nemmeno a scuola e il 63% cammina globalmente non più di mezz’ora al giorno”. “Se i programmi sportivi in televisione non motivano a praticare sport – osserva Leonardo Bolognese, direttore di Cardiologia all’ospedale di Arezzo e Esc Local Press Coordinator – le strategie attuali per promuovere l’attività fisica hanno scelto di muoversi verso programmi personalizzati.
Lo svolgimento individuale dell’attività fisica è infatti assai eterogeneo e multidimensionale, oltre che complesso da misurare, tanto che una discrepanza nello status di attività che ciascuno si attribuisce è ben presente nella nostra esperienza quotidiana. E’ vero che esistono molti metodi per stabilire la spesa energetica minuto per minuto, ma non c’è ancora qualcosa capace di catturare tutte le informazioni e i parametri rilevanti per l’attività fisica”.
L’obiettivo dello studio in vetrina all’Esc è stato proprio quello di creare un algoritmo funzionante, che incorporasse i fattori dell’attività fisica necessari a migliorare la fitness cardiorespiratoria e ad abbattere il rischio di mortalità cardiovascolare a lungo termine. Per determinare il Pai è stato utilizzato l”Hunt Fitness Study’, basato su una serie di domande relative a frequenza, durata e intensità dell’esercizio, in modo da definire il grado di intensità in bassa, media e alta: rispettivamente il 44%, il 73%, e l’83% della riserva cardiaca. Per validare il dato sono stati valutati oltre 39 mila uomini e donne sani e l’indice è stato diviso in 3 gruppi di attività: meno di 50, tra 51 e 99, più di 100, rispetto al valore zero usato per indicare l’inattività assoluta. Dopo un follow-up di 28 anni e 7 mesi si erano verificate 10.062 morti, di cui 3.867 causate da malattia cardiovascolare. Ma gli uomini e le donne con un Pai maggiore di 100 avevano un rischio ridotto di mortalità cardiovascolare ridotto del 23% rispetto al gruppo degli inattivi. La riduzione di rischio corrispondente per la mortalità da tutte le cause è stata del 13% per gli uomini e del 17% per le donne.
La conclusione degli esperti è che “il Pai è in grado di predire la mortalità cardiovascolare a lungo termine. Si tratta di un algoritmo che potrebbe essere utilizzato come strumento motivazionale per cambiare il proprio stile di vita. Si pensa quindi di incorporarlo in un dispositivo portatile che possa essere indossato dal soggetto che fa attività, in modo che sia misurata in maniera standardizzata e incentivi il movimento mostrando i progressi e l’abbassamento del rischio”.
“Un’altra ricerca ha voluto indagare gli effetti dell’attività fisica amatoriale sul rischio cardiovascolare in una popolazione di soggetti anziani – evidenzia Francesco Romeo, direttore di Cardiologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, presidente della Società italiana di cardiologia (Sic) ed Esc Local Press Coordinator -. L’idea è stata sviluppata da un’équipe di ricercatori finlandesi dell’università di Oulu, studiando retrospettivamente un gruppo di 2.409 uomini e donne tra i 65 e i 74 anni. Questi avevano partecipato anni prima a un’indagine sui fattori di rischio e il team scandinavo ha incrociato i dati sui decessi intercorsi dai registri anagrafici nazionali. Il livello di attività fisica era autodichiarato ed è stato classificato in tre livelli: basso, moderato e alto. Il rateo di rischio per mortalità cardiovascolare è stato individuato in 0,40 per i soggetti che facevano attività moderata, 0,29 per quelli che eseguivano un’attività intensa e rispettivamente 0,65 e 0,50 per il rischio di mortalità paragonato agli ‘oziosi'”. “I ricercatori – conclude Romeo – sono così giunti alla conclusione che l’attività fisica sia inequivocabilmente associata alla riduzione del rischio cardiaco, anche se eseguita in età avanzata e sia indipendente dai maggiori fattori di rischio noti”.